Eccoci arrivati alla quarta lezione della Rubrica “Lezioni di Sicurezza sul Lavoro”. Ricordiamo che la rubrica vuole presentare degli articoli settimanali o bisettimanali in materia, a cura di Giancarlo Restivo, che oltre ad essere Presidente della Nuova Organizzazione d’Imprese è anche Consigliere Nazionale AiFOS (Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro).

La collana presenta un percorso sociologico e antropologico innestato su argomenti imprenditoriali, che consentiranno l’accessibilità e la lettura anche ai non addetti ai lavori.

Lezione 4 – Adeguarsi al “Buon senso”

Bentrovati ad un nuovo appuntamento tra noi.

La scorsa volta ci siamo lasciati con una domanda: affinché la realtà sia più sicura, affinché noi siamo più certi della realtà, a che cosa dobbiamo adeguarci? E sempre in coerenza col ragionamento dell’altra volta, la domanda si scompone i due punti di vista pratici. Da punto di vista tecnico, cioè del rapporto con gli oggetti, quando uso adeguatamente di una cosa? Dal punto di vista psicosociale invece, quando un comportamento risulta adeguato?

Prima domanda: quando uso adeguatamente di una cosa?

Questa è una domanda che sorge spesso all’interno delle mie lezioni in aula, soprattutto in tema di utilizzo e mantenimento dei DPI (Dispositivi di protezione individuali, che vanno custoditi a responsabilità del lavoratore) o in termini di utilizzo dei macchinari.

Le risposte ricevute dai discenti sono sempre le più varie, ma concordano quasi sempre sul medesimo punto. Tutto della realtà è pericoloso, la sedia, un tavolo, una penna, il telefonino etc. perché il pericolo è una qualità intrinseca ad ogni oggetto. Pertanto per ridurre i rischi, cioè la probabilità di venire a contatto con dei pericoli o ancora di utilizzare delle cose in maniera pericolosa, devo conoscere tali rischi!

Questa è la consueta risposta dei discenti. Per usare adeguatamente degli oggetti di tutti i giorni, devo valutare i rischi legati ad essi!

Ogni volta che si arriva in questo momento di lezione, mi capita sempre di prendere un telefonino e farlo roteare con la mano e chiedere: quanto è pericoloso questo telefonino?

Mi si risponde sempre: Beh professore, se lo lancia verso di noi è molto pericoloso! Perfetto, proseguo io, allora cos’è che lo rende pericoloso?

Dopo qualche titubanza, provano a rispondere: Lei!

Ecco arrivati al punto, le cose stanno ferme. Starebbero ferme nel punto in cui le ripongo per l’eternità fin quando qualcuno o un atto esterno non le rimuovesse.

Questa evidenza segna il passaggio dal concetto di “oggetto” pericoloso, al concetto di “soggetto” pericoloso cioè tra D.Lgs. 626 e D.Ls. 81, in quanto la variabile che incrementa il pericolo di un oggetto coincide con colui che ne fa uso.

Fatti salvi i casi accidentali, è il soggetto che si muove, nella sua libertà, che genera l’imprevisto, usando delle cose in maniera adeguata e non.

Pertanto per ridurre i rischi, non devo innanzitutto conoscere i rischi legati all’oggetto che uso, ma devo conoscerne innanzitutto il senso “a che serve”, conoscere il motivo per cui è stato creato.

Abbiamo trovato quindi risposta alla domanda iniziale, cioè da cosa dipende l’utilizzo “adeguato” di una cosa?  Dal conoscerne il significato, il motivo, la ragione per cui è stato inventato.

Usare delle cose per la ragione per cui sono state create è il cosiddetto “Buon senso”.

Ad esempio, usare il cellulare con “Buon senso” vuol dire usarlo per telefonare, non per lanciarlo. Dovendo usarlo per telefonare, allora posso impegnarmi nello studiare le implicazioni che questo comporta, compresi appunto i rischi.

In definitiva pertanto per usare con “Buon senso” le cose, bisogna innanzitutto porsi un problema di conoscenza completa, secondo tutti i fattori che lo compongono, umane e non, degli oggetti che uso, ed anche del posto di lavoro e dell’ambiente in cui sono innestati.

Dopo queste affermazioni, possiamo facilmente dedurre che non tutti possiamo essere dotati di “Buon senso”, perché non tutti abbiamo una conoscenza completa dei fattori che compongono la nostra realtà lavorativa. Aiutiamoci pertanto a non diffondere concetti errati in formazione, come quello che per creare sicurezza alla fine basta un po’ di “Buon senso”.

Seconda domanda: Quando un comportamento risulta adeguato?

Domandarsi dell’adeguatezza di un comportamento mette in campo l’eccezionalità dell’umano, la sua unicità in tutto il creato.

La sua capacità affascinante di essere stato simile ad un creatore, come se fosse fatto a sua immagine.

Guardando all’essere umano abbiamo grandi evidenze che non è una “cosa”, si muove autonomamente, costruisce le cose, le modella; ma motivo più grande: inventa, cioè è un essere creativo.

Continuando, non è nemmeno un animale per quanto sia fatto di carne. L’animale non fa la luce elettrica, non ha la scrittura, non fa l’IPad.

Alcuni dicono che l’uomo è un animale evoluto, però il distacco qui è veramente tanto e gli animali perdono sotto tutti i punti di vista.

Io, con tutto il bene che voglio agli animali, preferisco definirmi “Umano”, di più di loro. Tant’è che li mangio.

Perciò tornando alla domanda “Quando un comportamento risulta adeguato?” come per le cose, per usare adeguatamente dell’uomo bisogna conoscerne il senso, cioè “A cosa serviamo?”.

Conoscendone il senso, conosceremo anche quale sarà il criterio che ci fornirà il termine di paragone per misurarne l’adeguatezza.

Arrivederci alla prossima settimana dove cercheremo di comprendere psicosocialmente, a cosa serviamo.

Grazie a tutti per l’attenzione.

Condividi su:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *