Dopo la fine dell’Era Cristiana con il Romanzo Il Destino nelle Sue mani, ho voluto raccontare l’Esilio dell’uomo. A modo mio, attraverso la metafora del fantasy.

Visti i tempi oscuri in cui viviamo, costretti a stare in casa e con le strade desolate, mi è venuto naturale riflettere su che cosa ci stiamo al mondo a fare.

I problemi di adesso sono più gravi dei problemi del passato?

Cosa ci viene chiesto adesso di diverso rispetto al giorno prima in cui è stato annunciato il coprifuoco?

Sempre Dio lascia che la Sua assenza pesi.

Dall’esilio su questa terra, all’esilio del popolo di Israele. Questo per renderci liberi di fronte a noi stessi, uomini capaci di riconoscere la verità di noi, la profondità infinita del nostro desiderio, fatti per una vita più vera di quella costruita con le sole nostre mani.

L’esilio è sempre una purificazione, ma Egli vestì i primi uomini per sostenerli. Sempre Sua è l’inziativa, anche nella prova.

Quindi, che fare ora? Qual è il nostro compito?

Anni fa, nel 2012, Carron ricordò le parole di Giussani a Viterbo, di anni prima ancora «“recuperare la verità della nostra vocazione e del nostro impegno”. Perché anche noi, ci diceva, corriamo il rischio di “ridurre il nostro impegno a una teorizzazione di metodo socio-pedagogico, all’attivismo conseguente e alla difesa politica di esso, invece che riaffermare e proporre all’uomo nostro fratello un fatto di vita”».

Don Giussani, continuava Carron, «domandava: “Ma un fatto di vita dove si appoggia? Dov’è la vita? La vita sei tu”. Eppure tante volte a noi questa posizione sembra troppo poco concreta, inincidente storicamente, una sorta di “scelta religiosa”. Infatti, continuava don Giussani, “per molti di noi che la salvezza sia Gesù Cristo e che la liberazione della vita e dell’uomo, qui e nell’aldilà, sia legata continuamente all’incontro con lui è diventato un richiamo ‘spirituale’. Il concreto sarebbe altro: è l’impegno sindacale, è far passare certi diritti, è la organizzazione…”».

Poi citava  BenedettoXVI «La Chiesa non comincia con il “fare” nostro, ma con il “fare” e il “parlare” di Dio. Così gli apostoli non hanno detto, dopo alcune assemblee: adesso vogliamo creare una Chiesa, e con la forma di una costituente avrebbero elaborato una costituzione. No, hanno pregato e in preghiera hanno aspettato, perché sapevano che solo Dio stesso può creare la sua Chiesa, che Dio è il primo agente: se Dio non agisce, le nostre cose sono solo le nostre e sono insufficienti; solo Dio può testimoniare che è Lui che parla e ha parlato».

Dunque poi concluse «il nostro contributo si può inserire solo nel dinamismo messo in moto da Dio stesso attraverso il suo Spirito».

Così capisco di più il Papa in questi giorni.

Quindi cosa resta a noi?

Domandare la Sua inziativa, chiedere la semplicità di riconoscerla insieme. Di esserne protagonisti insieme e condividere e raccontare così, quei “fatti di vita” che solo Egli compie ognidove, per la liberazione di molti. La sola speranza per questi giorni.

La Pasqua ci attende per essere rivissuta. Dio è disceso sin negli inferi per risorgere ed essere presente per sempre.

Vieni Signore Gesù. Stupiscimi come solo Tu sai fare.

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